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L’acqua: da diritto fondamentale a merce redditizia Printable Version PRINTABLE VERSION
by Alberto Capuccini, Jun 19, 2007
Environment   Opinions
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Le grandi società private stanno investendo grandi quantità di risorse per cercare di impadronirsi della gestione dei servizi pubblici, dove il loro guadagno è così sicuro quanto la nostra dipendenza dall’acqua per la vita.
L’acqua sulla Terra è il 40 per cento in meno di trent’anni fa: nel 2020 tre miliardi di persone non potranno usufruirne. Eppure neanche questo è riuscito a fermare la locomotiva del profitto, che sta portando le imprese multinazionali a mettere le mani su questo “bene”, che rappresenta per loro una fonte di guadagno inimitabile quanto per noi una fonte di vita insostituibile.
Anche in Italia la corsa alla gestione dei servizi idrici da parte di imprese private è iniziata; da ogni parte della penisola arrivano notizie di società per azioni che avanzano proposte per l’acquisizione della gestione del servizio idrico ai comuni. Ma c’è una cosa che queste imprese (spesso multinazionali) non hanno considerato: questa volta la gente non ci sta.
E’ partita infatti anche in Italia, dal 2005, la crociata dei cittadini contro la privatizzazione dei servizi idrici: con l’arma della raccolta firme e con lo scudo della consapevolezza dell’importanza dell’acqua, si è arrivati ad un vero e proprio plebiscito a sostegno di questa causa, che ha portato ad ottenere più di 250.000 firme, un coro di 250.000 NO alla trasformazione dell’acqua in un bene soggetto alle leggi di mercato, dal quale pochi imprenditori possano trarre profitti a discapito di una necessità propria della vita.
Queste firme hanno l’obbiettivo di portare sotto l’osservazione del Parlamento la proposta di legge d’iniziativa popolare avente come oggetto proprio la gestione delle acque e le disposizioni per la ripubblicizzazione del servizio idrico. Il cuore di questa legge risiede nell’art. 4 e nell’art. 2. Il primo prevede, nell’interesse pubblico di tutelare un servizio essenziale, di considerare la gestione del servizio idrico un ambito privo di rilevanza economica, sottratto quindi ai principi della libera concorrenza, da realizzare senza finalità lucrative, perseguendo finalità ambientali e sociali.
L’art. 2 sottolinea invece la palese, ma a questo punto necessaria, importanza dell’acqua, assegnandole le caratteristiche di finitezza e indispensabilità e la necessità di salvaguardarla mediante criteri di solidarietà, parsimonia e tutela per le generazioni future.
Nella nostra provincia in questo periodo è molto caldo il tema della fusione dei singoli gestori di servizi (compresi quelli idrici) in un’unica azienda a livello provinciale.
Nel nostro territorio le società che amministrano servizi pubblici sono al momento quattro: ASPES, MEGAS, ASET e HERA, le quali vorrebbero dunque accordarsi per creare un gestore unico.
L’idea è buona, peccato però sia viziata al suo interno da interessi privati.
HERA è infatti una azienda privata, quotata in borsa e in collaborazione (mediante joint-venture) con il gruppo SUEZ, una multinazionale dell’acqua che nel 2001 ha avuto ricavi pari a 9 miliardi di dollari.
Questa società al momento gestisce i servizi pubblici in gran parte dell’Emilia-Romagna, in qualche comune marchigiano limitrofo e nel 2001 ha acquisito il 49.9 % dell’ASPES s.p.a. (gestore di Pesaro).
Dunque nel caso in cui nascesse l’azienda provinciale unica, questa si troverebbe al suo interno una fortissima società per azioni in espansione, la quale più che preoccuparsi della corretta e solidale gestione di una risorsa pubblica e del soddisfacimento dei bisogni essenziali che da questa derivano per i cittadini, avrebbe come obbiettivo primario il sorriso a 32 denti dei propri azionisti.
Andando ora ad esaminare la questione della gestione dei servizi idrici con un’ ottica globale, si possono facilmente osservare le disastrose conseguenze che la privatizzazione di questi ha portato.
In quelle zone del mondo dove l’obbiettivo degli individui è la sopravvivenza, dove l’istruzione non è diffusa, dove i ricatti trovano terreno fertile per il loro sviluppo grazie alla povertà diffusa e dove quindi le popolazioni non possono opporsi alle grandi società private, la privatizzazione dell’acqua non è una paura ma una realtà. Le multinazionali dell’acqua hanno infatti iniziato la loro campagna di conquista proprio dalle nazioni più indigenti, le quali avrebbero posto meno resistenza e dove i politici sarebbero stati più facili da “comprare”.
Alcuni dei paesi più poveri del mondo, come il Mozambico, il Benin, il Niger, il Rwanda, l’Honduras, lo Yemen, la Tanzania, il Camerun e il Kenya, sono stati costretti a privatizzare i sistemi di gestione idrica sotto pressione del FMI, della Banca Mondiale e delle grandi imprese multinazionali. La pressione esercitata da questi soggetti si regge sulla possibilità di elargire a questi paesi dei crediti “Poverty Reduction and Growth Facility” per cercare di uscire dal tunnel della povertà strutturale, inconsapevoli del fatto che, invece che ridurre la povertà, la privatizzazione dell’acqua significa, soprattutto per le famiglie meno abbienti, precludere per sempre l’accesso alla fonte di vita per eccellenza.





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lindasteven73@yahoo.com | Dec 20th, 2007
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