by Francesca Montanari
Published on: Jun 19, 2007
Topic:
Type: Opinions

Si chiama, forse, paura il morbo che più affligge oggi il nostro paese. Paura di non arrivare alla fine del mese, per i più, paura di perdere i propri privilegi, per i meno. E ancora: il popolo dei precari e la casta degli strapotenti sono uniti dalla stessa, mortifera, paura di parlare. L’errore sistematico non sembra la tanto millantata caduta delle ideologie, quanto semmai la caduta dell’etica, scesa a compromessi nell’era del benessere con l’interesse materiale e personalistico. Ciò si riflette in ogni campo del vivere civile. In alto, la politica come impegno sociale è stata abbandonata in favore di una politica come professione che, tanto a destra quanto a sinistra, punta alle stesse poltrone rosse e si avvale di raccordi e rimpasti che mirano più a non ledere lo stato di cose esistente e i rapporti di forze tra i gruppi di pressione economici più che a risolvere i problemi. In basso, la protesta è spesso giudicata sconveniente e si preferisce soggiacere alle regole e ai messaggi pubblicitari, seppure a suon di imprecazioni e lamentele contro la crisi economica, il lavoro precario, le bollette troppo alte. E le due parti comunicano sempre meno, mentre anche nei mezzi di comunicazione “ufficiali” l’etica e la deontologia scendono a compromessi con il silenzio omertoso che copre interessi più o meno vasti. Nella classifica stilata per il 2006 da Freedom House l’Italia è, in quanto a libertà di informazione, un paese libero solo parzialmente, al 79esimo posto del ranking mondiale. I francesi di Reporters sans Frontieres, più magnanimi, ci collocano al 40esimo posto, comunque in coda ai paesi dell’Europa occidentale nonostante la timida risalita seguita alla caduta del governo Berlusconi. La situazione tutt’ora non è certo rosea, con concentrazioni sempre maggiori ai vertici dei grandi gruppi editoriali e una legge in corso d’approvazione, la Legge Mastella, già passata in Parlamento anche se non ancora in Senato, che, citando Travaglio, “di fatto cancella la cronaca giudiziaria”, aggravando “a dismisura le sanzioni per chi infrange il divieto di pubblicazione” e allargando “à gogò il novero degli atti non più pubblicabili” (http://www.articolo21.info/editoriale.php?id=2325).
Ora, posto che nell’era Internet non vale più la scusa del non sapevo, fare qualcosa è necessario perché ci sia democrazia almeno nello scambio d’informazioni. Occorre alimentare e sostenere canali di contro-informazione, crearne di nuovi, allacciare connessioni tra quelli già esistenti. Passo dopo passo, iniziando dalle realtà locali. Creare reti di informazione e azione dal basso è possibile. Valgano come esempio le battaglie continue che transitano sul blog di Beppe Grillo (www.beppegrillo.it), che dalla rete e dai suoi spettacoli agli italiani continua a urlare per scuotere dal torpore corpi e coscienze, incitandoli ad associarsi in comitati che si battano per un miglioramento e per una gestione più equa e consapevole delle risorse. E valga come esempio l’esperienza del recente Meeting urbinate sulle Politiche Giovanili, in cui di fronte a un ente politico dimostratosi ben disposto, per una volta, ad ascoltare, si sono confrontate tra loro realtà giovani ed attive che hanno avuto il coraggio di muoversi da sole per un cambiamento, con o senza l’aiuto delle istituzioni.
Come un ragazzo che dall’Italia scoraggiato è riuscito ad aprire una redazione in rete con l’Europa a Tallinn, nell’Estonia dei meno 25 gradi centigradi. O come un gruppo di ragazzi che dall’Italia indignati sono scesi in piazza a urlare alla mafia “e adesso ammazzateci tutti”. Di fronte a tali e ad altri esempi, più o meno estremi, non è possibile che i più non si muovano o restino a guardare, fedeli all’inganno dei finti mezzi di comunicazione e degli spot pubblicitari vuoti. Se è vero che urge un ricambio generazionale politico, economico e civile, è altrettanto vero che il sistema attuale non si resetterà certo da solo. Occorre impegnarsi per produrre il cambiamento. Guardare criticamente, togliere i paraocchi, vedere il marcio là dove c’è e non negarlo spostandolo sotto il tappeto. E non scendere a compromessi con esso neanche se in cambio ci offre un qualche vantaggio. Occorre fiducia nella possibilità di cambiare. Ancora, occorre impegno. Per mettersi, senza paura, alla prova.

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